I Comuni, in considerazione dell’emergenza epidemiologica Covid-19, possono differire autonomamente i termini di versamento dei tributi locali di propria competenza, pertanto, è possibile differire il termine di versamento dell’imposta municipale propria (IMU). (MEF- Risoluzione 08 giugno 2020, n. 5/DF)
Gli enti locali possono, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, stabilire il differimento dei termini di versamento entro i limiti stabiliti dal Legislatore. Per quanto concerne poi le modalità con cui tale facoltà può essere esercitata, si precisa che il potere di differimento dei termini di versamento rientra nelle competenze del Consiglio Comunale.
In merito alla possibilità di differimento del termine di versamento dell’imposta municipale propria (IMU), alla luce della disamina sistematica del quadro normativo che disciplina tale tributo, occorre innanzitutto richiamare il comma 762 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 il quale stabilisce che “In deroga all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, i soggetti passivi effettuano il versamento dell’imposta dovuta al comune per l’anno in corso in due rate, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell’imposta complessivamente dovuta in un’unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno”.
A sua volta, il successivo comma 777, lett. b) del medesimo art. 1 dispone che “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento stabilire differimenti di termini per i versamenti, per situazioni particolari”.
Sulla base di tali norme, quindi, la possibilità di differimento da parte del comune è preclusa in via generale dal comma 762 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 ma tale disposizione, deve essere correlata con quanto previsto dal successivo comma 777, lett. b) del più volte citato art. 1, che invece consente ai comuni di stabilire con proprio regolamento differimenti di termini per i versamenti qualora ricorrano “situazioni particolari”, fra le quali è sicuramente riconducibile l’emergenza epidemiologica COVID-19 attualmente in atto.
È bene ricordare che tali norme sono state previste dal Legislatore in armonia con l’art. 52 del D. Lgs. n. 446 del 1997, il quale stabilisce che la potestà regolamentare generale degli enti locali deve essere esercitata nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti; per cui, anche la normativa di dettaglio del tributo deve sempre ispirarsi a tale principio generale e garantirne il rispetto anche in caso di situazioni particolari.
Tali esigenze devono però essere esaminate alla luce dell’ulteriore considerazione secondo cui tale facoltà può essere legittimamente esercitata dal Comune con esclusivo riferimento alle entrate di propria spettanza e non anche a quelle di competenza statale, le quali, per loro natura, sono interamente sottratte all’ambito di intervento della predetta potestà regolamentare dell’ente locale in materia tributaria. Tale principio porta ad escludere che possano essere deliberati dai comuni interventi – anche di semplice differimento dei versamenti – aventi ad oggetto la quota IMU di competenza statale, relativa agli immobili a destinazione produttiva. Si rammenta, infatti, che il comma 753 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, stabilisce che “Per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D l’aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, di cui la quota pari allo 0,76 per cento è riservata allo Stato, e i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla sino all’1,06 per cento o diminuirla fino al limite dello 0,76 per cento”.
Decisivi, al fine di pervenire alla conclusione sopra evidenziata, si rivelano i seguenti elementi:
– in primo luogo la circostanza per cui, in virtù del comma 753 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il Comune non ha alcun potere di intervento in ordine alla quota di spettanza statale, atteso che all’ente locale, per un verso, è interdetta la riduzione dell’aliquota al di sotto dello 0,76 per cento e, per altro verso, è in ogni caso attribuito il gettito derivante dalla decisione di aumentare l’aliquota stessa oltre tale limite e fino all’1,06 per cento. A questo proposito, vale anche la pena di evidenziare che, laddove invece il Comune ha potestà regolamentare in merito al tributo, è il Legislatore ad averla espressamente prevista, come avviene per la possibilità di diversificare le aliquote applicabili alle diverse fattispecie impositive, aumentandole entro i limiti stabiliti dallo stesso Legislatore o diminuendole fino all’azzeramento (commi 750, 751, 752 e 754 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019);
– in secondo luogo, la previsione del comma 744 dell’art. 1 della medesima legge n. 160 del 2019, con cui è conferito espressamente ai comuni il potere di svolgere le attività di accertamento e riscossione relative al gettito IMU riservato allo Stato derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, ed è stabilito, al contempo, che agli stessi enti spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni.
Tale quadro normativo di riferimento, quindi, conferma che la quota IMU riservata allo Stato è sottratta alla disponibilità dei Comuni. Del resto, occorre evidenziare che proprio per tali ragioni sono stati previsti due distinti codici tributo per i versamenti relativi alla quota Stato e alla quota Comune in modo tale da imputare anche operativamente le somme in questione direttamente ai due distinti soggetti.
In merito, poi, alla possibilità – sempre prospettata nei quesiti in oggetto, in alternativa al differimento del termine – di lasciare la scadenza IMU al 16 giugno 2020, dando al contempo la possibilità a coloro che versano fino al 30 settembre 2020 di regolarizzare l’acconto IMU senza pagare sanzioni ed interessi, si precisa che ciò equivale a raggiungere indirettamente lo stesso risultato del differimento di termini, per cui valgono tutte le considerazioni innanzi riportate.
Occorre sottolineare che, limitatamente alla quota Comune, nonché alla quota Stato in sede di accertamento, non sembra prospettabile la possibilità da parte del Comune di rinunciare integralmente alle sanzioni, poiché sono coperte dalla riserva di legge come statuito nella richiamata ordinanza del Consiglio di Stato n. 4989 del 2001.
Si ricorda a questo proposito che gli enti locali possono comunque introdurre agevolazioni, vale a dire ipotesi di ravvedimento ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge sulla base dei principi delineati dall’art. 50 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 che prevede la “possibilità di riduzione delle sanzioni in conformità con i principi desumibili dall’articolo 3, comma 133, lettera l), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in quanto compatibili”.
Alle stesse conclusioni del Giudice amministrativo perviene la giurisprudenza contabile, che si è espressa anche in materia di rinuncia agli interessi (Conti Corte dei Conte sezione di controllo per il Piemonte Parere n. 7/Par./2007, Corte dei Conti sezione di controllo per la regione siciliana decisione n. 106 del 2014 e Corte dei Conti sezione di controllo per la Lombardia parere n. 140 del 2018). In dette pronunce la Corte ha affermato che sul punto è consolidato il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, per cui l’ente locale non può rinunciare alle sanzioni e agli interessi relativi ai tributi non versati alle scadenze stabilite.