I Comuni, in considerazione dell’emergenza epidemiologica Covid-19, possono differire autonomamente i termini di versamento dei tributi locali di propria competenza, pertanto, è possibile differire il termine di versamento dell’imposta municipale propria (IMU). (MEF- Risoluzione 08 giugno 2020, n. 5/DF) Continua a leggere
Il giorno 1/6/2020, la Regione Lazio e le Parti Sociali sottoscrittrici e firmatarie dell’accordo sulla CIGD dello scorso 24 marzo u.s. hanno condiviso le linee guida per la Cassa Integrazione in Deroga secondo il D.L. Rilancio
La Regione Lazio e le Parti Sociali, già firmatarie dell’accordo quadro sulla Cig in deroga del 24/3/2020, hanno inteso integrare le precedenti disposizioni, con nuove Linee Guida a norma degli artt. 70 e ss. del D.L. 19/5/2020, n. 34 “cosiddetto D.L. rilancio”.
Considerato, infatti che il “D.L. rilancio”:
– ha esteso la durata della CIGD che può essere richiesta per 9 settimane dal 23 febbraio al 31 agosto incrementate per 5 settimane nel medesimo periodo per i datori ai quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di nove settimane;
– riconosce la possibilità di successive 4 settimane di CIGD per i periodi dal 1 settembre al 31 ottobre 2020 ad eccezione del settore turismo, fiere, congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche che possono richiedere il periodo delle 4 settimane anche per periodi precedenti al 1 settembre 2020 se interamente fruito il periodo già autorizzato;
– non richiede l’accordo per i datori di lavoro con meno di cinque dipendenti. (E’ soppresso il riferimento ai datori di lavoro che abbiano chiuso l’attività in ottemperanza dei provvedimenti di urgenza emanati per far fronte al COVID);
– impone al datore di lavoro di inviare a INPS tutti i dati necessari per il pagamento dell’integrazione salariale entro il giorno 20 di ogni mensilità successiva a quella in cui è collocato il periodo di integrazione salariale;
– stabilisce che per le aziende plurilocalizzate il trattamento di CIGD possa essere richiesto con pagamento a conguaglio;
– introduce un limite di spesa per la CIGD pari a 4.936,1 milioni di euro.
Ne consegue che:
1) Alla Regione Lazio può essere fatta richiesta di CIGD, con le medesime modalità già indicate nell’accordo del 24 marzo, solo relativamente alle prime 9 settimane dal 23 febbraio al 31 agosto 2020 anche per il personale in forza al 25 marzo 2020.
2) Entro il giorno 8 giugno le aziende, autorizzate al trattamento di CIGD e che non vi abbiano ancora provveduto, sono tenute alla comunicazione all’INPS dei dati necessari per il pagamento dei lavoratori, con riferimento ai periodi 23 febbraio – 30 aprile.
3) Le richieste di cassa integrazione successive alle prime 9 settimane devono essere inviate all’INPS a norma dell’art. 22 quater le cui modalità attuative sono disciplinate con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanare entro quindici giorni dall’entrata in vigore del D.L. Rilancio.
4) Con le stesse modalità sono riconosciuti i periodi già autorizzati dalla Regione e non fruiti dal datore di lavoro. Pertanto, devono essere inviate all’INPS le richieste di Cassa Integrazione in deroga da parte di quelle aziende che abbiano chiesto e ottenuto dalla Regione un provvedimento di cassa in deroga pari a 9 settimane ancorché abbiano effettivamente fruito di un numero di settimane inferiori a 9.
L’Inps – con messaggio n. 2362/2020 – riepiloga le diverse ipotesi di sospensione degli adempimenti e dei versamenti previdenziali collegate alla situazione emergenziale da COVID-19 che interessano le aziende assuntrici di manodopera e i lavoratori autonomi agricoli, nonché gli eventuali adempimenti che i contribuenti devono effettuare per avvalersi delle diverse sospensioni.
Sospensione dei versamenti
Azienda interessata alla sospensione dei contributi causa COVID-19 D.L. n. 9/2020, art. 5 – codice autorizzazione 7H
Alle posizioni contributive relative ai soggetti di cui alla cosiddetta “zona rossa” è stato attribuito centralmente il codice di autorizzazione “7H”, che assume il significato di “Azienda interessata alla sospensione dei contributi a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 D.L. n. 9/2020, art. 5” (cfr. circolare n.37/2020, paragrafo 3.4, e n.52/2020, paragrafo 5.4).
La sospensione riguarda i versamenti relativi alla contribuzione dovuta per il terzo trimestre 2019 il cui termine legale di scadenza è il 16 marzo 2020.
Azienda interessata alla sospensione dei contributi causa COVID-19 di cui all’art. 61 comma 2 del D.L. 18/2020 – codice autorizzazione 7L
Alle posizioni contributive relative alle aziende agricole, la cui attività rientra tra quelle individuate dall’articolo 61, comma 2, del decreto-legge n. 18/2020, è stato attribuito centralmente il codice di autorizzazione “7L” che assume il significato di “Azienda interessata alla sospensione dei contributi a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’art. 61 comma 2 del D.L. 18/2020” (cfr. circolare n. 52/2020, paragrafo 5.4).
Il codice è stato attributo alle aziende che svolgono le attività con i seguenti codici ateco:
– 56.10.12 Attività di ristorazione connesse alle aziende agricole;
– 91.04.00 Attività degli orti botanici, dei giardini zoologici e delle riserve naturali;
– 55.20.52 Attività di alloggio connesse alle aziende agricole.
Il codice “7L” è stato, altresì, attribuito anche alle aziende che nella denuncia aziendale hanno indicato di svolgere anche l’attività di agriturismo inserendo la data di autorizzazione.
La sospensione riguarda i versamenti relativi alla contribuzione dovuta per il terzo trimestre 2019 il cui termine legale di scadenza è il 16 marzo 2020.
Azienda interessata alla sospensione dei contributi causa COVID-19. D.L. n. 18/2020, art. 62 comma 2 – codice autorizzazione 7Q
I soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (17 marzo 2020) che intendono avvalersi della sospensione devono trasmettere la comunicazione di sospensione disponibile, tra le istanze telematiche nel Cassetto Previdenziale con l’indicazione della relativa norma di riferimento (cfr. circolare n.52/2020, paragrafo 5.4, e circolare 59/2020, paragrafo 2.4). Alle posizioni contributive relative ai soggetti che trasmetteranno la domanda telematica di sospensione è attribuito in automatico il codice di autorizzazione “7Q”, che assume il significato di “Azienda interessata alla sospensione dei contributi a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. D.L. n. 18/2020, art. 62 comma 2”.
La sospensione riguarda i versamenti relativi alla contribuzione dovuta per il terzo trimestre 2019 il cui termine legale di scadenza è il 16 marzo 2020.
La sospensione viene caricata automaticamente nell’archivio di gestione a livello centrale, inoltre per queste istanze non è prevista alcuna attività a carico delle strutture territoriali e, pertanto, non vi sarà valorizzazione ai fini della produzione.
Azienda interessata alla sospensione dei contributi causa da COVID-19. D.L. n. 18/2020, art. 78 comma 2-quinquiesdecies – codice autorizzazione 7S
Il combinato disposto degli articoli 61, comma 1, e 78, comma 2-quinquiesdecies, del decreto-legge n.18/2020, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 27/2020, ha introdotto la sospensione dei contributi previdenziali ed assistenziali per le imprese del settore florovivaistico con scadenza legale di adempimento e di versamento nell’arco temporale decorrente dal 30 aprile 2020 al 15 luglio 2020 compresi. I contribuenti che intendono avvalersi della sospensione in questione devono trasmettere la relativa istanza disponibile nel Cassetto Previdenziale con l’indicazione della norma di riferimento.
Alle posizioni contributive dei soggetti che presentano tale istanza di sospensione viene attribuito in automatico il codice autorizzazione “7S”, che assume il significato di “Azienda interessata alla sospensione dei contributi a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. D.L. n. 18/2020, art. 78 comma 2-quinquiesdecies”.
Anche per questa fattispecie, a seguito della trasmissione dell’istanza la sospensione viene caricata automaticamente nell’archivio di gestione a livello centrale con l’attribuzione del codice di autorizzazione “7S”. Non è prevista alcuna attività a carico delle strutture territoriali per queste istanze e, pertanto, non vi sarà valorizzazione ai fini della produzione.
Per le imprese del settore florovivaistico la sospensione riguarda il versamento relativo al 4° trimestre 2019 il cui termine legale di scadenza è il 16 giugno 2020.
Nelle istanze di sospensione per l’attribuzione dei codici 7Q e 7S sono esposte le date della ripresa della riscossione; le aziende in sede di compilazione dell’istanza devono indicare il numero di rate con cui intendono effettuare il versamento.
Il campo numero rate deve essere valorizzato obbligatoriamente; se l’azienda intende effettuare il versamento in unica soluzione deve inserire il numero “1” nel campo del numero rate.
E’ stata inoltre inserita una NEWS generale all’atto dell’accesso al Cassetto Previdenziale Aziende Agricole al fine di rendere nota alle aziende o loro intermediari la disponibilità dei modelli di sospensione predisposti.
E’ possibile visualizzare tutti i codici di sospensione COVID-19, attribuiti centralmente alle aziende interessate, nella sezione dei codici autorizzazione della procedura 5A “Archivio Anagrafico e Agevolazioni delle Aziende Agricole” e nel Fascicolo Elettronico Aziende Agricole all’interno del Menù nella sezione ?Dati Azienda ?Codici Autorizzazione.
Sospensione delle rate dei piani di dilazione concessi dall’Istituto
La sospensione dei versamenti opera anche con riferimento ai versamenti relativi ai piani di rateazione concessi dall’Istituto sia alle aziende che agli autonomi. L’Inps riepiloga in tabella i periodi di sospensione delle rate con riferimento alle diverse disposizioni:
Considerata la difficoltà tecnica di presentare singoli flussi per ciascuna UP censita dall’Inps, con evidenti riflessi negativi sui tempi di erogazione della prestazione, l’Inps rende nota la possibilità, per le aziende con molteplici unità produttive, di presentare un’unica domanda su un’unità produttiva di riferimento, facendovi confluire le altre unità produttive omogenee per matricola aziendale, collocazione territoriale, periodo di sospensione concesso, attività produttiva svolta e articolazione dei giorni di sospensione dei beneficiari (Inps, messaggio 04 giugno 2020, n. 2328)
Come noto, relativamente ai trattamenti di Cig in deroga per unità produttive site in 5 o più Regioni o Province autonome in ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, a seguito dell’avvenuta emanazione del decreto ministeriale di concessione della prestazione di Cigd, l’azienda è tenuta ad inviare la domanda di integrazione salariale, modello IG_15_deroga” (cod. “SR100”), all’Inps sulla piattaforma “CIGWEB”, con il sistema del “ticket”. La domanda va trasmessa in relazione alle singole unità produttive censite dall’Inps, anche qualora il decreto concessorio abbia autorizzato unità operative (Inps, circolare n. 58/2020).
Tale flusso di gestione è così delineato al fine di consentire il monitoraggio del rispetto del limite massimo del periodo di sospensione concedibile di cassa integrazione in deroga, pari a 9 o 13 settimane, il cui conteggio viene effettuato per singola unità produttiva dell’azienda.
Tanto premesso, diverse aziende con un elevato numero di unità produttive, dislocate sull’intero territorio nazionale e oggetto di sospensione, hanno evidenziato difficoltà tecniche derivanti dal rispetto delle predette modalità di presentazione delle domande per ogni singola unità produttiva, tali da incidere negativamente sui tempi effettivi di erogazione della prestazione.
Pertanto, acquisito il parere positivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato predisposto per esse un diverso flusso di gestione di invio delle domande all’Inps, che consente alle aziende che hanno molteplici unità produttive, la presentazione di un numero minore di domande, unificandole in unità produttive omogenee per attività svolta e per collocazione territoriale. Preliminarmente all’inoltro delle domande, l’azienda deve tuttavia comunicare all’Istituto, inviando una PEC all’indirizzo dc.ammortizzatorisociali@postacert.inps.gov.it, che in relazione al decreto di concessione adottato dal Ministero, intende presentare una domanda semplificata in presenza di una pluralità di unità produttive. La PEC dovrà contenere le seguenti informazioni:
- numero decreto ministeriale;
- settimane concesse;
- Unità produttiva accorpante;
- elenco Unità produttive accorpate.
Dunque, dovranno essere espressamente indicate dall’azienda stessa le unità produttive su cui chiede di presentare domanda, unità produttive che possono ricomprendere unità produttive omogenee per matricola aziendale, collocazione territoriale, periodo di sospensione concesso, attività produttiva svolta e articolazione dei giorni di sospensione dei beneficiari. A titolo esemplificativo, l’azienda potrà dichiarare un’unità produttiva individuata per la gestione delle domande delle unità produttive ubicate nelle Regioni del Nord che hanno diritto alle 13 settimane, ed un’altra o più per la gestione delle unità produttive ubicate nelle altre Regioni per cui il decreto ministeriale ha concesso 9 settimane di sospensione.
La scelta dell’unità produttiva di riferimento su cui far confluire le domande accorpate, è considerata irreversibile e, come tale, dovrà essere utilizzata anche in caso di eventuale richiesta di proroga del trattamento di Cig in deroga con causale COVID-19, sempre al fine di consentire il monitoraggio da parte dell’Inps della prestazione concessa.
In ogni caso, tale flusso semplificato attiene esclusivamente le prestazioni di cassa integrazione in deroga connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e, di conseguenza, nulla è innovato per quanto riguarda la disciplina degli altri ammortizzatori sociali e per i quali dovranno essere utilizzate le modalità ordinarie di presentazione della domanda all’Inps.
I Comuni, in considerazione dell’emergenza epidemiologica Covid-19, possono differire autonomamente i termini di versamento dei tributi locali di propria competenza, pertanto, è possibile differire il termine di versamento dell’imposta municipale propria (IMU). (MEF- Risoluzione 08 giugno 2020, n. 5/DF)
Gli enti locali possono, nell’ambito della propria autonomia regolamentare, stabilire il differimento dei termini di versamento entro i limiti stabiliti dal Legislatore. Per quanto concerne poi le modalità con cui tale facoltà può essere esercitata, si precisa che il potere di differimento dei termini di versamento rientra nelle competenze del Consiglio Comunale.
In merito alla possibilità di differimento del termine di versamento dell’imposta municipale propria (IMU), alla luce della disamina sistematica del quadro normativo che disciplina tale tributo, occorre innanzitutto richiamare il comma 762 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 il quale stabilisce che “In deroga all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, i soggetti passivi effettuano il versamento dell’imposta dovuta al comune per l’anno in corso in due rate, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell’imposta complessivamente dovuta in un’unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno”.
A sua volta, il successivo comma 777, lett. b) del medesimo art. 1 dispone che “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento stabilire differimenti di termini per i versamenti, per situazioni particolari”.
Sulla base di tali norme, quindi, la possibilità di differimento da parte del comune è preclusa in via generale dal comma 762 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 ma tale disposizione, deve essere correlata con quanto previsto dal successivo comma 777, lett. b) del più volte citato art. 1, che invece consente ai comuni di stabilire con proprio regolamento differimenti di termini per i versamenti qualora ricorrano “situazioni particolari”, fra le quali è sicuramente riconducibile l’emergenza epidemiologica COVID-19 attualmente in atto.
È bene ricordare che tali norme sono state previste dal Legislatore in armonia con l’art. 52 del D. Lgs. n. 446 del 1997, il quale stabilisce che la potestà regolamentare generale degli enti locali deve essere esercitata nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti; per cui, anche la normativa di dettaglio del tributo deve sempre ispirarsi a tale principio generale e garantirne il rispetto anche in caso di situazioni particolari.
Tali esigenze devono però essere esaminate alla luce dell’ulteriore considerazione secondo cui tale facoltà può essere legittimamente esercitata dal Comune con esclusivo riferimento alle entrate di propria spettanza e non anche a quelle di competenza statale, le quali, per loro natura, sono interamente sottratte all’ambito di intervento della predetta potestà regolamentare dell’ente locale in materia tributaria. Tale principio porta ad escludere che possano essere deliberati dai comuni interventi – anche di semplice differimento dei versamenti – aventi ad oggetto la quota IMU di competenza statale, relativa agli immobili a destinazione produttiva. Si rammenta, infatti, che il comma 753 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, stabilisce che “Per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D l’aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, di cui la quota pari allo 0,76 per cento è riservata allo Stato, e i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla sino all’1,06 per cento o diminuirla fino al limite dello 0,76 per cento”.
Decisivi, al fine di pervenire alla conclusione sopra evidenziata, si rivelano i seguenti elementi:
– in primo luogo la circostanza per cui, in virtù del comma 753 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160, il Comune non ha alcun potere di intervento in ordine alla quota di spettanza statale, atteso che all’ente locale, per un verso, è interdetta la riduzione dell’aliquota al di sotto dello 0,76 per cento e, per altro verso, è in ogni caso attribuito il gettito derivante dalla decisione di aumentare l’aliquota stessa oltre tale limite e fino all’1,06 per cento. A questo proposito, vale anche la pena di evidenziare che, laddove invece il Comune ha potestà regolamentare in merito al tributo, è il Legislatore ad averla espressamente prevista, come avviene per la possibilità di diversificare le aliquote applicabili alle diverse fattispecie impositive, aumentandole entro i limiti stabiliti dallo stesso Legislatore o diminuendole fino all’azzeramento (commi 750, 751, 752 e 754 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019);
– in secondo luogo, la previsione del comma 744 dell’art. 1 della medesima legge n. 160 del 2019, con cui è conferito espressamente ai comuni il potere di svolgere le attività di accertamento e riscossione relative al gettito IMU riservato allo Stato derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, ed è stabilito, al contempo, che agli stessi enti spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni.
Tale quadro normativo di riferimento, quindi, conferma che la quota IMU riservata allo Stato è sottratta alla disponibilità dei Comuni. Del resto, occorre evidenziare che proprio per tali ragioni sono stati previsti due distinti codici tributo per i versamenti relativi alla quota Stato e alla quota Comune in modo tale da imputare anche operativamente le somme in questione direttamente ai due distinti soggetti.
In merito, poi, alla possibilità – sempre prospettata nei quesiti in oggetto, in alternativa al differimento del termine – di lasciare la scadenza IMU al 16 giugno 2020, dando al contempo la possibilità a coloro che versano fino al 30 settembre 2020 di regolarizzare l’acconto IMU senza pagare sanzioni ed interessi, si precisa che ciò equivale a raggiungere indirettamente lo stesso risultato del differimento di termini, per cui valgono tutte le considerazioni innanzi riportate.
Occorre sottolineare che, limitatamente alla quota Comune, nonché alla quota Stato in sede di accertamento, non sembra prospettabile la possibilità da parte del Comune di rinunciare integralmente alle sanzioni, poiché sono coperte dalla riserva di legge come statuito nella richiamata ordinanza del Consiglio di Stato n. 4989 del 2001.
Si ricorda a questo proposito che gli enti locali possono comunque introdurre agevolazioni, vale a dire ipotesi di ravvedimento ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge sulla base dei principi delineati dall’art. 50 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 che prevede la “possibilità di riduzione delle sanzioni in conformità con i principi desumibili dall’articolo 3, comma 133, lettera l), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in quanto compatibili”.
Alle stesse conclusioni del Giudice amministrativo perviene la giurisprudenza contabile, che si è espressa anche in materia di rinuncia agli interessi (Conti Corte dei Conte sezione di controllo per il Piemonte Parere n. 7/Par./2007, Corte dei Conti sezione di controllo per la regione siciliana decisione n. 106 del 2014 e Corte dei Conti sezione di controllo per la Lombardia parere n. 140 del 2018). In dette pronunce la Corte ha affermato che sul punto è consolidato il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, per cui l’ente locale non può rinunciare alle sanzioni e agli interessi relativi ai tributi non versati alle scadenze stabilite.
Forniti i primi chiarimenti sull’utilizzo della misura agevolativa prevista dall’articolo 28 del decreto Rilancio e istituito il codice tributo per la compensazione (Agenzia delle entrate – circolare n. 14/E e risoluzione n. 32/E del 6 giugno 2020).
Ammontare del credito
Il credito d’imposta è pari al 60 per cento del canone locazione degli immobili ad uso non abitativo e al 30 per cento del canone nei casi di contratti di affitto d’azienda. L’importo da prendere a riferimento è quello versato nel periodo d’imposta 2020 per ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio. È comunque necessario che il canone sia stato corrisposto. In caso di mancato pagamento la possibilità di utilizzare il credito d’imposta resta sospesa fino al momento del versamento. Se il canone invece è stato versato in via anticipata, sarà necessario individuare le rate relative ai mesi di fruizione del beneficio parametrandole alla durata complessiva del contratto. Quando le spese condominiali sono pattuite come voce unitaria all’interno del canone di locazione e tale circostanza risulti dal contratto, anche le spese condominiali possono concorrere alla determinazione dell’importo sul quale calcolare il credito d’imposta.
Beneficiari
Possono beneficiare del credito d’imposta per canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda coloro che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto Rilancio (19 maggio 2020).
Il credito di imposta è riconosciuto alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi e compensi registrato nel periodo d’imposta precedente. Vi rientrano anche gli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Per questi ultimi l’eventuale svolgimento di attività commerciale in maniera non prevalente rispetto a quella istituzionale non pregiudica la fruizione del credito d’imposta anche in relazione a quest’ultima attività. Si ritengono inclusi i forfetari e le imprese agricole. Sono inclusi anche coloro che svolgono un’attività alberghiera o agrituristica stagionale; in tal caso, i mesi da prendere a riferimento ai fini del credito d’imposta sono quelli relativi al pagamento dei canoni di aprile, maggio e giugno.
Requisiti
Il credito d’imposta spetta a condizione che i soggetti esercenti attività economica abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi in ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio di almeno il cinquanta per cento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente. Il calo del fatturato o dei corrispettivi deve essere verificato mese per mese. Quindi può verificarsi il caso, ad esempio, che spetti il credito d’imposta solo per uno dei tre mesi. La condizione del calo del fatturato si applica esclusivamente ai locatari esercenti attività economica. Per gli enti non commerciali non è prevista tale verifica con riferimento all’attività istituzionale. Per questi soggetti, quindi, il requisito da rispettare ai fini della fruizione del credito d’imposta (oltre al non aver conseguito nell’anno precedente flussi reddituali in misura superiore a 5 milioni di euro) è che l’immobile per cui viene corrisposto il canone abbia una destinazione non abitativa e sia destinato allo svolgimento dell’attività istituzionale. Il credito spetta a prescindere dalla categoria catastale dell’immobile, rilevando l’effettivo utilizzo dello stesso nelle attività sopra menzionate.
Utilizzo del credito
Il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa; o, in alternativa può essere ceduto. La cessione può avvenire a favore del locatore o del concedente, oppure di altri soggetti, compresi istituti di credito e altri intermediari finanziari, con facoltà di successiva cessione del credito per questi ultimi. Nell’ipotesi in cui il credito d’imposta sia oggetto di cessione al locatore o concedente il versamento del canone è da considerarsi avvenuto contestualmente al momento di efficacia della cessione, nei confronti dell’amministrazione finanziaria. In altri termini, in questa particolare ipotesi è possibile fruire del credito anche in assenza di pagamento, fermo restando, però, che deve intervenire il pagamento della differenza dovuta rispetto all’importo della cessione pattuita. Le modalità attuative delle disposizioni relative alla cessione del credito d’imposta saranno definite nel provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate previsto per le altre misure emanate per fronteggiare l’emergenza da COVID-19.
Compensazione del credito
Il credito è utilizzabile nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa oppure in compensazione (articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 24) successivamente all’avvenuto pagamento dei canoni. La compensazione avviene utilizzando il modello F24 da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e indicando il codice tributo “6920”.
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A seguito del monitoraggio in via prospettica degli oneri e del disequilibrio finanziario del Fondo dedicato, l’Inps comunica che l’accoglimento delle domande di indennizzo per cessazione dell’attività commerciale potrà avvenire per le sole istanze presentate entro il 30 novembre 2019. Per quelle successive occorrerà attendere l’emanazione di un apposito decreto con il quale verrà adeguata la misura dell’aliquota aggiuntiva per gli iscritti alla Gestione commercianti (messaggio n. 2347 del 05 giugno 2020)
Come noto, l’indennizzo per cessazione di attività commerciale (art, 1, D.Lgs. n. 207/1996), reintrodotto in maniera strutturale dal 2019 (art. 1, commi 283 e 284, L. n. 145/2018) ed esteso anche a coloro che hanno cessato l’attività a partire dal 1° gennaio 2017 (art. 11-ter, D.L. n. 101/2019), rappresenta una misura concessa nei limiti delle disponibilità finanziarie del Fondo per la razionalizzazione della rete commerciale.
Orbene, in occasione dell’ultimo monitoraggio degli oneri, è emerso che il completo accoglimento delle domande giacenti, non garantirebbe l’equilibrio del Fondo, in via prospettica, per il pagamento delle prestazioni, fino alla data di perfezionamento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia, con conseguente soluzione di continuità tra la percezione dell’indennizzo e la corresponsione del trattamento pensionistico.
Per scongiurare tale evenienza, la normativa prevede espressamente che in tale ipotesi l’Inps non riconosca ulteriori prestazioni.
Tanto premesso, a seguito di interlocuzioni con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quest’ultimo ha stabilito che si provvederà ad adeguare con apposito decreto interministeriale, nella misura necessaria, l’aliquota contributiva aggiuntiva a carico degli iscritti alla Gestione commercianti. Fino all’adozione del predetto decreto, l’Istituto non potrà riconoscere ulteriori prestazioni e dovrà sospendere il loro accoglimento. Ciò nonostante, nelle more dell’emanazione del decreto, gli utenti interessati possono comunque presentare domanda di indennizzo secondo le consuete modalità telematiche (Inps, circolare n. 77/2019).
Valutate le domande giacenti dell’ultimo monitoraggio e le risorse disponibili, allo stato,le Sedi Inps potranno liquidare, fermo restando la ricorrenza dei prescritti requisiti e delle previste condizioni, esclusivamente gli indennizzi riferiti alle domande presentate entro il 30 novembre 2019.
Per quanto riguarda le domande presentate successivamente, le Sedi comunque procederanno all’acquisizione e alla memorizzazione delle informazioni richieste, salvo poi comunicare agli interessati ed ai patronati intermediari che non è possibile procedere alla liquidazione dell’indennizzo per mancanza di copertura finanziaria.
La gestione delle domande avverrà in rigoroso ordine cronologico.
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